ATLA(S)NOW
RESIDENZE
ANGELO BELLOBONO (2011-2017)
RESIDENZE   ANGELO BELLOBONO (2011-2017)

Raccontare le montagne, la neve e il ghiaccio dell’Africa, è la storia che definisce quadrimensionalmente la ricerca di Angelo Bellobono. Una storia, questa, che più di tutte fa luce sugli angoli più visionari del suo lavoro di artista e della sua vita di uomo. Insolita, e a tal punto spiazzante, da fondere insieme le sue due anime di pittore e sciatore, per dare vita a quello che forse è il suo progetto più ambizioso. Costruire, cioè, una nuova idea di umanità, luoghi e confini, e di creare, inoltre, codici e griglie di comunicazione in grado di relazionarsi produttivamente e umanamente al luogo e la sua gente, intrecciando vita e professionalità, sotto un solo nome: Atla(s)now. [download pdf][ leggi tutto ]

Image from the kids workshop on the stones, Angelo Bellobono, 2012
Image from the kids workshop on the stones, Angelo Bellobono, 2012
Image from the kids workshop on the stones, Angelo Bellobono, 2012
Image from the kids workshop on the stones, Angelo Bellobono, 2012
Image from the kids workshop on the stones, Angelo Bellobono, 2012
Image from the kids workshop on the stones, Angelo Bellobono, 2012
Image from the kids workshop on the stones, Angelo Bellobono, 2012
Installation view of painted Toubkal stones done by local kids during the workshop, Angelo Bellobono, 2012
Working on the Djellabah with a local tailors for the Marrakech Biennal and Suspended Cloister, Angelo Bellobono, 2012
Angelo Bellobono's artwork, Suspended cloister, (2012)
Angelo Bellobono's artwork, Suspended cloister, (2012)
Skiboots made in collaboration with a local artisan with the same materials used to build the local houses, Angelo Bellobono, 2012
Installation view at the Marrakech Biennal of the work made in collaboration with the Imlil artisan, Angelo Bellobono, 2012
Working on the skiboots sculpture with a local artisan, Angelo Bellobono, 2012
Skiboots made in collaboration with a local artisan with the same materials used to build the local houses, Angelo Bellobono, 2012
Working on the Toubkal painting made on recycled plastic for the Kasbah du Toubkal wall, Angelo Bellobono, 2012
Toubkal painting made on recycled plastic for the Kasbah du Toubkal wall, Angelo Bellobono, 2012
Angelo Bellobono 2017
Angelo Bellobono 2017
Angelo Bellobono 2017
Angelo Bellobono 2017
Angelo Bellobono 2017
Angelo Bellobono 2017
Angelo Bellobono 2017
Angelo Bellobono 2017

Embrionalmente concepito con tali prospettive, Atla(s)now parla attraverso le voci e le azioni delle centinaia di persone che stanno contribuendo a radicare il progetto in quest’area. Prima di ascoltarle tutte, dovremmo però cominciare proprio da colui  le cui opere sono state le prime che hanno dato vita a questo primo Museo Diffuso dell’atlante marocchino. Quelle che, insomma, pioneristicamente sono state il risultato finale di un inedito processo di costruzione che ancora oggi, con i nuovi artisti, impone una dolorosa analisi, riflessione critica e ridimensionamento della pratica e della sostanza del proprio agire.
Da qui quindi ogni volta la domanda – il timore? – che l’opera non troverà un luogo per essere installata, o se lo troverà rischierà di essere rimossa, distrutta o persa, nonostante gli accordi in precedenza negoziati, con persone che alla fine di tutto, a fronte di urgenze più impellenti, non hanno bisogno di estetica e di arte contemporanea.
La sua duplice identità di artista e di allenatore di sci, ha certamente aiutato in questo senso, fornendo un approccio relazionale funzionale e oggettuale al tempo stesso, che a sua volta ha permesso ai suoi risultati installativi e grazie alle sue negoziazioni, di resistere così a lungo e radicarsi più facilmente.
Resistenza, dunque. un termine che maggiormente, e a tre anni dai primi interventi nel villaggio di Imlil, riflette lo stazionamento dei suoi lavori, ancora oggi lì, dove sono stati per la prima volta concepiti.
La pittura, grazie al suo respiro arcaico e contemporaneo, ma anche immediato, complesso, concreto, visionario, o meglio ancora per il suo potere di costruire ponti, contenuti e relazioni, è stato – insomma - il mezzo che è riuscito, per tutte queste ragioni e qualità, a essere subito compreso, facilitando una cristallizzazione di questo genere nella visione, prima di tutto, della comunità, spina dorsale dell’intera operazione. A partire quindi dalla percezione che Angelo Bellobono ha avuto della montagna più alta nel loro territorio, il Toubkal, è stato come costruire la prima vertebra di quest’architettura di forti relazioni.
Usando teli di plastica riciclata come supporto, l’artista ha prodotto il suo corpo di lavoro, catturando pittoricamente quella montagna di cui ha tirato fuori i vuoti, i pieni e nervature della sua pelle rocciosa, la stessa che metaforicamente protegge le identità di quei berberi che ogni giorno la scalano con fatica, per rifornire i vari rifugi dispersi lungo il percorso fino alla cima.
Partendo dallo stimolo visivo che gli abitanti hanno quotidianamente da questo scenario, l’artista riprende quello che, montagna dopo montagna, ha istruito il suo, di sciatore, e che oggi, da artista, ritrova condensato in quel simbolo.
Un accordo con se stesso dunque, ma che con loro ha in qualche modo significato stipularlo nella loro interiorità, passando per quel filtro roccioso su cui tutte queste si rispecchiano. Ecco che quelle tele di grandi dimensioni declinano in una produzione più piccola per ritrovare in essa l’intimità della superficie lignea di antiche tavolette di noce utilizzate nella cultura berbera per registrare contratti. Insieme al falegname locale, l’artista avvia una grande produzione su cui dipingere una serie di ritratti di quelle persone attivamente coinvolte. Realizzati in loro presenza, proprio come avviene durante la stipulazione di un contratto - ovvero in presenza delle due parti - i ritratti sono stati infine donati, come simbolo di quanto in quella collaborazione, in verità, ne germinasse un’altra, ma di natura profondamente umana.
Con alcuni di loro, come con Alì il mulattiere, il momento della consegna ha toccato le corde di un’intensità commovente nell’espressione di meraviglia quando si è visto ritratto su quell’esile supporto. I ritratti sono ora ospitati nelle loro case, dopo anni ancora lì, come anche quello di  Alì, il mulattiere.
La percezione interiore e personale del paesaggio che stava scaturendo dal suo approccio adottato con gli adulti del villaggio, è qualcosa che ha trovato nel coinvolgimento dei bambini locali un respiro relazionale più formativo. Da esso è quindi nato un laboratorio di pittura, dove i bambini sono stati invitati a dipingere senza alcuna indicazione e limitazione su rocce raccolte insieme nel villaggio. Ogni giorno i bambini tornavano, in quel luogo, il Dar Toubkal, per riprendere quanto interrotto il giorno precedente. Un’esperienza per loro inedita quella di usare pennelli e colori. Ludica allo stesso tempo, ma dal carattere istruttivo che li ha avvicinati a quelle rocce che tutte insieme formavano quella più grande e innevata che ogni giorno è in evidenza di fronte ai loro occhi. La parte interessante è stata vedere come le bambine, all'inizio allontanate via dai maschi, venivano piano piano accettate e dunque coinvolte in quel gioco. Queste pietre sono ora un lavoro installativo collettivo che vediamo all’ingresso del Dar Toubkal, il centro di residenza, segnando l’inizio della salita al monte.
In questa logica congiunta di pittura, ghiaccio, sci e identità e lavorio condiviso, il lavoro sugli Djellabà ha tradotto questo intreccio fondendo in un unico atto ricerca pittorica e artigianalità sartoriale. Inizialmente indossati sciando con le guide e maestri durante i corsi svolti a Oukaimeden, hanno accolto nell’addome elementi pittorici astratti su plastiche riciclate, blocchi trasparenti dove l'identità si congela, ma allo stesso tempo si permea del paesaggio esterno. Il "viaggio degli djellaba" è un'opera profondamente connessa con l'identità del loro costume tradizionale. Un vestito caldo utilizzato dagli uomini locali, ma simile a quella usata dalle donne e che allo stesso tempo ricorda un abito francescano. Una combinazione di forme, sensi e simbologie che traduce la complessità di quei ponti culturali invisibili tra Occidente e Africa, uomini e donne, chiari nel lavoro che prendeva corpo nella ricerca dell’artista.
Uno di essi è stato parte di un’istallazione per la Marrakech biennale nel 2012 e l'altro, Suspended cloister, è parte e simbolo riconoscibile del Museo diffuso. Installato in un luogo aperto della Kasbah du Toubkal, un chiostro sospeso ripulito da anni di accumulo di oggetti inutilizzati, diventato un contenitore con una nuova direzione, dove l'opera mossa dal vento regala ad esso una forte tensione emotiva.

(Testo di Alessandro Facente, 2014)

Settembre 2017
Angelo Bellobono, in doppia veste di coordinatore dei progetti e artista, ha lavorato sulla rielaborazione in chiave contemporanea dell’antica tecnica dell’incisione e pittura rupestre, realizzando numerose incisioni e dipinti su pietra ispirati al paesaggio di montagna, chiave stilistica del suo lavoro. Una delle opere su carta si è trasformata in un tappeto come omaggio alle camminate in montagne compiute durante la residenza.
Bellobono ha realizzato nel villaggio una scultura ambientale utilizzando un ramo e dei vecchi sci da bambino piantati nel terreno: l’opera, dipinta interamente in bianco, durante l’inverno si mimetizzerà con il manto nevoso.